Cronache campanarie: l’esperienza in musica al Rifugio Calvi

Corrispondenza di Luca Brignoli & Elisa Salvetti

“IL SUONO DELLE MONTAGNE”: l’evento che ha avuto come protagonisti la melodia delle campane e del corno delle Alpi, tra il panorama mozzafiato delle vette innevate in alta quota, nello specifico al rifugio Calvi in alta Valle Brembana. L’evento è stato organizzato dalla Federazione Campanari Bergamaschi e patrocinato dalla Regione Lombardia, un’iniziativa per promuovere l’arte e la tradizione campanaria bergamasca, riconosciuta nel 2015 come Patrimonio Immateriale delle Regioni Alpine, e ovviamente per passare un fine settimana in compagnia, con il sottofondo delle campanine e delle campane del castello della F.C.B., portato per l’occasione a 2000 metri di altitudine.  Nella prima mattinata del sabato i campanari e familiari sono saliti al rifugio o con la navetta o a piedi. Dopo due ore di cammino, arrivati al rifugio e respirata l’aria, che il paesaggio trasmetteva, di allegria e voglia di preservare queste bellezze “con la B maiuscola”, abbiamo iniziato subito a suonare le campanine, accompagnate dal suono della fisarmonica e della chitarra, aspettando l’arrivo del castelletto di campane. Suonare tra le montagne provoca, all’interno di noi, una sensazione unica ed inspiegabile; sembra che forze superiori, antiche e il silenzio ascoltino questo suono, forse, per la prima volta.

Alla fine delle canzoni, avvertire questo suono propagarsi tra le montagne, da un senso di infinito e fa riflettere su quanto noi, esseri umani, siamo piccoli e fragili, a confronto delle grandezze di Dio e della natura. Verso le 11.30 si vede spuntare dalla strada che costeggia il lago il camion, caricato con il castelletto; appena arrivato ci si è subito lanciati sulla tastiera e tra una monferrina, un valzer, una polca e una mazurca l’ora di pranzo si è avvicinata in un batter d’occhio e, dopo aver “tiràt impè” per concludere le suonate, abbiamo dato allegria anche allo stomaco, tra panini, patatine, formaggi e torte, ovviamente accompagnate da un bicchiere di prosecco, per festeggiare e dare inizio a questo fine settimana. Pranzato in allegria, abbiamo passato un pomeriggio nel rifugio a causa del brutto tempo, tra le melodie di campanine, fisarmonica, chitarra, ocarina, armonica… insomma campanari e polistrumentisti. I più temerari hanno sfidato la pioggia (in certi momenti anche la neve) e il freddo, suonando a tastiera le campanelle del castelletto, protetti da un cellophane posto sul castello per non far bagnare le campane.

Nel frattempo l’ora di cena era arrivata, tutti riuniti con le gambe sotto il tavolo abbiamo potuto apprezzare un’altra tradizione… Quella culinaria delle montagne: ravioli, minestrone, arrosto, stracotto d’asino, ovviamente tutto accompagnato dalla polenta e da un buon bicchiere di vino, per poi concludere con la buonissima “crostata rustica”! Dopo la cena, abbiamo rallegrato la serata nel rifugio; molte persone incuriosite ascoltavano e chi sapeva anche solo un pezzo delle canzoni che cantavamo, si univa al coro. Stavamo presentando un’altra tradizione oramai persa. Immaginarsi che cento anni fa, in quel posto, facevano quello che stavamo riproponendo, era come un atto di fedeltà verso quella povera gente, che passava le giornate di transumanza in montagna, rallegrando la stanchezza del lavoro con qualche canto e suonata. La notte come non poter ammirare l’orizzonte delle montagne e del cielo che splendeva di stelle.

Quella luce, quella linea ondulata che perimetrava le montagne, color quasi simile al cielo scuro, quel vento che sfiorava il corpo mentre si ammiravano queste grandezze, e vedere le stelle che brillavano ci faceva sentire come protagonisti di uno spettacolo, lo spettacolo della natura, che è silenzioso ma se lo si sa ascoltare e ammirare è significativo e parla al cuore e all’anima di ognuno di noi.  Molto spesso noi, a causa della fretta e della disattenzione, non notiamo questi dettagli e particolari del nostro mondo, non sentiamo quanta gioia e leggerezza ci dona. Dobbiamo ben capire che non potremo mai annullare queste opere, sempre presenti da millenni, ma in questi anni perse, non fisicamente, ma mentalmente dall’essere umano che le ignora, come si ignora un oggetto materiale.

E proprio per riuscire ad apprezzare a far tornare nostre queste opere, la sera dopo i canti, qualcuno si è recato fuori dal rifugio, tra i prati bagnati dalla pioggia del pomeriggio a vedere le stelle, che poco a poco erano tornate in prima linea sostituendosi alle nuvole. L’altezza del posto e la limpidezza del cielo, libero dall’inquinamento e dalle luci che la città, frenetica e incontenibile, che non lascia il tempo per apprezzare ciò che il cielo ci regala, ha dato la possibilità di ammirare un’innumerevole quantità di stelle e ha regalato anche qualche stella cadente ai più fortunati e attenti. La mattina fatta colazione, abbiamo allestito per il concerto e la Santa Messa, celebrata da don Franco Gherardi, con l’intervento inaspettato di Don Giosy Cento, che alla fine della concelebrazione, ha cantato una delle sue più famose canzoni: “Viaggio nella vita”.

 Il concerto di campanine, introdotto dal suono del corno delle Alpi del maestro scozzese Martin Mayes, è stato molto gradito a tutti: molta gente incuriosita si è fermata ad ascoltare le melodie della tradizione campanaria bergamasca, quelle melodie che i nostri nonni e bisnonni suonavano dall’alto dei campanili, per dare un maggiore senso di festa e di allegria durante le feste Patronali, le solennità religiose, i battesimi, matrimoni, comunioni e cresime… insomma, ogni scusa era valida per poter suonare e, come allora, anche al giorno d’oggi si cerca di scampanare e di portare avanti una tradizione che stava per scomparire, una tradizione secolare che, fortunatamente si sta portando avanti e promuovendo. Sono stati davvero tanti gli escursionisti che passavano di lì, e sentivano, con l’orecchio curioso, quei dolci suoni, che solitamente in montagna non si avvertono.

Suonare in montagna, da sensazioni nuove, non le classiche, comunque venerabili che si vivono mentre si suona, per esempio, in una chiesa; lì la Chiesa è l’opera di Dio, la grandezza di Dio, nel creare questi ambienti paesaggistici e sonori meravigliosi. Pranzato ancora una volta tutti assieme, abbiamo iniziato la discesa verso la valle, un po’ a malincuore, continuando a contemplare le bellezze sovrumane del luogo. Pensare che tutto sia frutto dell’uomo sarebbe da ignoranti; non per la magnificenza o per lo splendore, ma perché i sentimenti che provi bussano all’interno di te, e riempiono quelle lacune che si formano nel vivere nella società d’oggi, lacune nell’amore per il territorio, nella conservazione delle tradizioni, come le campane, e la notevole indifferenza, che la società odierna, ha portato in molti giovani. L’iniziativa ha entusiasmato tutti, tanto da chiedere una seconda edizione per il prossimo anno, così da rallegrare ancora le cime delle montagne, simbolo di silenzio e meditazione profonda, che con il suono delle campane e delle canzoni folkloristiche della nostra tradizione, completa l’alto quadro dello spirito divino dell’essere umano.

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