Ascoltare il tempo: una riflessione sul significato del suono

Articolo di Luca Fiocchi

Questo lungo tempo di confinamento, quarantena o lockdown – come si è soliti chiamare – fa riscoprire il senso del suono e il senso della sua proiezione nello spazio e nel tempo. Potremmo dire che questi intensi momenti di assenza del rumore di tutti i giorni, delle auto, dei camion sulle strade e nelle zone industriali ricompongono il paesaggio sonoro, portando la nostra percezione dell’ambiente a tempi che sicuramente avevano sperimentato solo i nostri nonni. Per questo motivo ritengo sia interessante compiere una riflessione su quello che è il suono e il silenzio, il senso del silenzio e la proiezione del suono nello spazio fisico della pianura urbanizzata o agricola, nelle valli e nelle zone lacustri.

La mia riflessione vuole partire dalle note di meraviglia e stupore dei nostri ragazzi appartenenti alle diverse scuole campanarie dell’associazione. Chiacchierando tra noi grazie ai sistemi digitali che la tecnologia ci offre e che ci permette di restare vicini (Whatsapp piuttosto che Zoom), abbiamo rilevato come si possano udire campanili che nei periodi normali non si udivano. Ad esempio Andrea di Sarnico racconta di riuscire a sentire bene, oltre le campane del suo paese, quelle di Paratico, di Villongo San Filastro e Sant’Alessandro, di Credaro e persino le otto campane di Calepio che in tempi di vita normale non sarebbero assolutamente udibili. Allo stesso modo Mattia, oltre a sentire le campane di Vallalta e di Fiobbio dice di sentire bene ora anche quelle di Albino con le sue mille campane. Michele, oltre a sentire le campane di Colognola, che fanno parte del paesaggio sonoro quotidiano, racconta ora di essere riuscito a sentire per la prima volta nitidamente quelle di Stezzano e quelle di Zanica.

La Torre Civica di Bergamo (detta il Campanone) sulla sinistra, in un dipinto del XVII secolo

Tutto questo ci porta a riflettere sul senso del suono e il senso del silenzio e di come il tempo della cultura agricola fosse segnato in modo diverso dallo scandire di uno strumento a noi molto caro: proprio la campana. Oltre ai poeti e musicisti che tra ’800 e ’900 si erano abbondantemente occupati del suono delle campane nella letteratura e nella musica colta – da Leopardi a Donizetti – va ricordato il famosissimo film girato nel 1977 da Ermanno Olmi L’albero degli zoccoli. Chi pone un orecchio attento alla colonna sonora del film scopre che l’asse melodico centrale è costituito da due elementi: le campane, che scandiscono i momenti del giorno, e il suono dell’organo per il contesto propriamente ecclesiastico.

Dalle considerazioni fatte si comprende quanto sia necessario nel drammatico momento che viviamo riscoprire il vero suono delle campane e quello che debba essere il significato più profondo rispetto alle automazioni dei carillon, che suonano a festa anche nei giorni in cui non è festa. Da qui discende la necessaria riscoperta del suono e dare significato, proprio perché il suono della campana è una forma alternativa alla parola ma equivale alla parola per le sue molteplici valenze espressive e comunicative. Negli ultimi anni l’abbondare di carillon a mezzogiorno e sera ha stravolto il significato di giorno di lavoro e giorno di festa. Se il carillon ogni giorno sembra annunciare un giorno di festa, equivarrebbe a dire ‘mangiamo torta tutti i giorni’. Ma sappiamo che la torta tutti i giorni, oltre a non far bene alla salute, va a far perdere il significato proprio della festa.

Per questa ragione, a nostro avviso, s’impone la necessità di un richiamo a un ordine espressivo ponderato e a riportare in questo modo le orecchie degli abitanti e dei fedeli ad ascoltare i messaggi autentici delle campane. Proprio le campane hanno costituito da sempre un richiamo e un segno nella nostra vita quotidiana. Lo sapevano bene i nostri nonni, bisnonni e trisàvoli. Nel 1811, a Romano di Lombardia, in occasione della fusione di un nuovo concerto di campane, la fabbriceria indicava le campane di Cologno al Serio come riferimento per la timbrica e per il suono e per la proiezione nello spazio della loro udibilità. Si può così capire il desiderio di vedere le proprie campane nasciture imitare un modello che sarebbe stato una fonte certa di richiamo e soprattutto di riferimento per coloro che viaggiavano nella pianura con i carri non solo nel periodo estivo, ma soprattutto nei tempi autunnali e invernali con il pericolo di perdersi e di poter cadere nelle seriole.

La distanza in linea d’aria tra Romano di Lombardia e Cologno al Serio

Nel 2006, in occasione del restauro del concerto di campane della basilica di Romano di Lombardia e della sua integrazione con nuove campane, abbiamo avuto accesso all’archivio di Romano in cui sono custoditi documenti di estremo interesse che riportano della commissione di un preventivo voluto dalla locale fabbriceria alle ditte Crespi e Monzini per la fusione del nuovo concerto di campane. Tenendo molto ai patrimoni ecclesiastici, i fabbricieri avevano richiesto documenti dettagliati che erano poi andati a comparare costruendo una tabella divisa in tre colonne con le proposte di Crespi, di Monzini e le osservazioni della fabbriceria. Non esisteva Excel, non esisteva niente di tutto questo, ma l’amore per i beni e i tesori della parrocchia facevano sì che le procedure fossero severe perché il denaro speso andasse a dare frutti duraturi. Così fu perché le campane del 1811 resistettero fino al 1943 e vennero registrate con strumenti rudimentali prima di essere rimosse. Testimonianza scritta e quella registrata che rimane una prova tangibile di come l’attenzione per i beni della parrocchia, frutto di sacrifici di tante famiglie che donavano alla Chiesa, dovessero avere un senso stabile per le intere comunità.

Il preventivo di Romano di Lombardia del 1811

Ripercorrendo quindi tutto il cammino svolto in queste parole in merito alla riscoperta del senso del silenzio, del senso del suono, del senso del richiamo delle campane e del senso dei beni che abbiamo ereditato e che dobbiamo mantenere e tramandare, deduciamo che dare ascolto al silenzio significa ridare valore al suono, ai suoi rintocchi, alle sue distese, alle sue allegrezze, ai suoi segni funebri e a tutto quello che la campana può essere, strumento di richiamo per la comunità nei suoi diversi momenti della giornata, dell’anno, del calendario liturgico, dei momenti di nascita e di passaggio. In questo i nostri campanari storici, che in tutti questi secoli ci hanno preceduto, hanno lasciato un grande segno, un segno su cui riflettere quotidianamente ogni qualvolta ci avviciniamo a una campana e ogni qualvolta porgiamo l’orecchio per ascoltarla.

Il campanaro di Alzano Giacomo Donadoni nel 1955

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