Il valore della memoria

Edoardo Boncinelli, in un articolo di Terza Pagina del ‘Corriere della Sera’ del 28 aprile 2011, scrive a proposito della morte del fisico umanista Toraldo di Francia: Quando vengono a mancare certe personalità, non è rilevante che siano morte quanto piuttosto che siano vissute, e abbiano arricchito con la loro presenza questo nostro «viver terreno». La lettura dell’incipit dell’articolo ha stimolato una riflessione attorno a un tema che accompagna permanentemente il nostro lavoro di ricercatori nel campo della etnomusicologia, vale a dire il valore della memoria, tesoro fragile e meraviglioso che permette di ricostruire agli occhi dell’indagatore un mondo che non c’è più ma che continua a vivere fresco e vigoroso nella mente del narratore.

Pensare al ruolo della memoria appare di fondamentale importanza per cogliere il perimetro entro cui deve muoversi la nostra indagine conoscitiva, le nostre aspettative, nonché gli stimoli che diamo e riceviamo per raccogliere materiale, da una parte, e per riflettere su ciò che abbiamo raccolto, dall’altra. Se partiamo dall’assunto secondo cui la memoria è quella macchina che eredita e trasmette conoscenze, ne consegue che quanto ereditiamo da chi ci fornisce tale materiale è di duplice natura: patrimonio materiale e patrimonio immateriale. Il patrimonio materiale è senz’altro la sostanza su cui si applica la conoscenza (ad esempio un suonatore tradizionale sul proprio strumento); il patrimonio immateriale è la modalità con cui il portatore di esperienza si applica allo strumento. Dato ancor più interessante che si rivela agli occhi di chi riflette sul materiale raccolto è il fatto di trovarsi di fronte a uno dei molteplici tasselli di un processo di stratificazione culturale di cui ritiene essere, l’informatore, l’anello più recente della catena del tradere, se non, tragicamente, l’ultimo anello.

Essere garante di un processo di stratificazione della conoscenza implica presa di coscienza del fenomeno e della catena della trasmissione del sapere orale, un sapere vario e articolato di cui l’informatore sa compiere la sintesi senza avere, nella maggior parte dei casi, alcuna preparazione disciplinare. Da ciò consegue che la memoria di un fenomeno indica la capacità da parte dell’individuo di rapportarsi col mondo, manifestando in tale relazione dialettica il suo carattere inteso come modo di cogliere la realtà.

Il racconto di chi ci informa sul passato e sulla ritualità sociale del passato ci offre molti dati sulla sensibilità individuale e sociale. Se il comportamento esprime la natura dell’individuo, conoscere la cultura in cui si è forgiato è fondamentale per comprendere le polarità del comportamento individuale e sociale, vale a dire le regole, sovente chiave essenziale per entrare in contatto efficace con un mondo che ci appare a primo acchito ‘da codificare’. Guardando alla natura dell’informatore, riflettere sul proprio contesto culturale significa filtrare l’esperienza ed esprimere attraverso il racconto la propria rappresentazione del reale. Dalla sintesi del reale può così derivare il ritratto di un mondo che aiuta in misura determinante a ri-costruire modelli sociali che sono andati de-costruendosi nel corso dei decenni. La ri-costruzione può avvenire a due livelli: documentativo, per raccogliere dati da fotografare; analitico, per ricavare modelli negati da riproporre. A questo punto, alla ri-costruzione del modello va attribuito il valore aggiunto di ‘cultura’, che consente di ripiantare la vita s-radicata.

In conclusione, cosa può insegnarci la memoria? Da un lato, l’importanza della conservazione dei beni materiali e immateriali; dall’altra l’affetto per le persone che hanno trasmesso. Il tutto si traduce in insegnamento etico: non essere mai indifferenti verso ciò che esperiamo.

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